Irma Vernice, rinchiusa ormai da anni nell’ angusta camera trova il suo equilibrio labile nel quotidiano. I meravigliosi capelli, un tempo nero corvino sono ormai spenti. Lunghissimi fluttuano nel vuoto, ora accarezzando le pareti della stanza, ora sul pavimento, rendendolo straordinariamente splendente.
Sono dotati di vita indipendente e propria, e influenzano lo stato d’animo di Irma portandola spesso in una condizione di annullamento totale, dove la materia e l’energia si fondono, ma sempre inaccessibili, sempre misteriosi, avvolgendola nell’oscurità .
Dove sono finiti i tratti perfetti, il profilo da dama ottocentesca? Il tempo implacabile ha segnato per sempre quei meravigliosi tratti, rendendoli quasi irriconoscibili.
Gli specchi dalla sua stanza sono stati rimossi da anni, anche se negli ultimi tempi un piccolo frammento di specchio proveniente dal corridoio, sfida Irma, che, grazie alla presbiopia, accetta nella sua stanza, sullo scrittoio. Libri e riviste sono sparsi ovunque, in particolare quelli tramite i quali può acquistare abiti per corrispondenza. Rappresentano l’unico filo conduttore, l' aggancio con la realtà. Sono trascorsi 27 lunghissimi anni dall’ultima volta che Irma Vernice è uscita fuori dalla propria abitazione.
L’aroma grezzo del caffè invade prima la cucina, poi il resto della casa, e Anna Palhò, la madre, alle ore 9.30, come ogni mattina oramai da secoli, nel silenzio più assoluto scalfito solamente dal confricare delle ciabatte sul pavimento, attraversa il lungo il corridoio dalle pareti scrostate e ingiallite, arriva davanti alla porta di Irma, e senza bussare, senza proferire parola entra nella sua stanza, poggiando quasi con dedizione la tazzina del caffè con un cucchiaino di zucchero, sul comodino. Lentamente esce. Grosso ammasso di adipe, con ginocchia vare e alluce valgo. Non aveva mai avuto troppa simpatia per sua figlia Irma. Sicuramente perché a lei non dava mai retta, o forse poiché fin da piccola concentrava la sua attenzione nell’edonismo più assoluto. A soli 6 anni infatti, con maestria, si pettinava come Nefertiti ( pur non sapendo ovviamente chi fosse) restando ore e ore ad ammirarsi nello specchio, attenta alle scarpette piuttosto logore, a dire il vero, e al suo vestitino sbiadito, che pretendeva comunque , fosse sempre perfettamente stirato . Le scarpette poi, pur grossolane e vecchie, venivano ammorbidite e lucidate col grasso di maiale da lei stessa, con grande attenzione. Mai dovevano presentare tracce di fango o polvere. Se ciò malauguratamente si verificava , tornava a casa e con pazienza ripeteva l’operazione di pulizia. Non era stato sempre così. Irma era cresciuta in una famiglia benestante della periferia della città, e fino ai 4 anni di età aveva goduto dei privilegi della ricchezza. Il suo spirito giocoso e allegro conquistava tutti. Poteva permettersi critiche ironiche e pungenti, molto acute, pur essendo così piccola, eccetto che con sua madre Anna, che era contraddistinta dall'assenza assoluta del senso della ironia. Caratteristica che si era accentuata in modo particolare dopo la catastrofe finanziaria che la colpì, prima nell’adolescenza, col dissesto della propria famiglia, poi da adulta, con la disgregazione del patrimonio del marito. Era solita asserire che le risate fossero una pura perdita di tempo, dato che dopo tali tragedie, aveva dovuto imparare a lavorare per regolarizzare l’economia della famiglia . Badando bene ai flussi di entrata, in genere molto modesti, e a quelli di uscita, molto cospicui. Divenne così una matriarca perennemente triste, cupa e spigolosa, che non riusciva mai a manifestare pienamente ai figli tutto l’amore che per loro nutriva. Senza mai sorridere, soffocando la gioia, e avendo perenne la tendenza ad oscurare i momenti di felicità, che sembrava volesse rinnegare e allontanare da sè, evidenziando esasperata i lati peggiori, suoi e della vita degli altri , Proprio per questo Irma cercava di stare in quella casa il meno possibile, essendo divenuta particolarmente triste e sinistra, verniciata da un alone, da un tono, quasi di crudele ostilità. I bei mobili e i pizzi erano stati venduti, e anche una parte della casa dei nonni venne ceduta. Gli avvoltoi, presenti anche fra i parenti più stretti , portarono via ogni bene, e non rimase che l’essenziale . La comprensione e la compassione erano svanite nel nulla. Nel momento del bisogno la cupidigia si insinua viscida, subdola, ma quella volta fu incisiva, dimostrando una precisione matematica, certa e assoluta. La malinconia opprimente , trasmessa dalla madre, si poteva valutare in particolare nel salone della casa, ormai quasi vuoto, privo di luce e in penombra perenne. Il sole non illuminava e riscaldava la sala da tempi ormai immemorabili. Pur essendo una bambina coraggiosa, Irma, quando attraversava il lungo corridoio e si avvicinava alla porta del salone, era solita effettuare tre salti in modo da entrare subito nella sua cameretta, e sentirsi in questo modo al sicuro. Ma, ad essere sinceri, in quella casa non riusciva a sentirsi sicura mai. Proprio per questo motivo, quando non era a scuola, vagava per i campi incolti della periferia, resi accoglienti dal calore e dalla luce del sole. Così riusciva a trovare un certo ristoro. Era solita frequentare la casa della cugina Albamarina Vernice, che abitava poco lontana da casa sua. Era coetanea di Irma e giocava con lei volentieri. Ma la madre, cioè sua zia, non aveva piacere che sua figlia stesse troppo tempo con Irma, per due motivi fondamentali: - uno si riassumeva nel fatto che si vergognava di questi parenti caduti in tale stato di povertà e miseria. Infatti loro una certa agiatezza l’avevano preservata, forse a spese del fratello Umberto (si vociferava). Pare che proprio al fine di distinguersi dal ramo decaduto della famiglia, avessero pensato di cambiare il loro cognome da Vernice in Vernais, più chic e filo francese. Cosa che, per altro, con le giuste conoscenze e i mezzi adeguati, avevano effettuato. Altro motivo di disapprovazione per la zia, è che trovava Irma veramente strana e stravagante, sia per le particolari acconciature che era solita edificarsi, ma, anche e soprattutto perché si diceva in giro che avesse delle doti speciali. Si raccontava infatti che quando frequentava la prima elementare, all’età di soli sette anni, durante la lezione di disegno, si fosse alzata in piedi, improvvisamente, e senza motivo apparente, mettendo le manine sul viso, fosse scoppiata in un pianto acuto e irrefrenabile, urlando, gridava che la scuola stava per crollare. I compagnetti la guardavano con un’espressione in bilico fra lo stupore e il timore. La paura però prese il sopravento, e nella classe in un battibaleno si verificò un fuggi-fuggi generale. I bambini, veloci, e in preda al puro terrore, cercavano di uscire dalla classe, mentre la maestra tentava faticosamente di calmarli, e far tornare l’ordine, prendendo come primo impulso a schiaffi Irma, che nel frattempo si era comunque calmata. Dopo dieci minuti suonava la campanella della ricreazione, e i bambini uscirono sotto l’occhio vigile dell’insegnante, festosi, come sempre, a scaricare la loro energia primitiva ed essenziale, nello spiazzo situato nella parte anteriore della scuola. Anche Irma. Dopo pochi minuti si verificava però l’incredibile:- una parte del tetto dello stabile e del muro portante crollava per davvero. Fortunatamente nessuno si fece male, eccetto che per il grande spavento. Da quel momento la maestra, la signorina Maria Grazia Tella, cambiò completamente atteggiamento, e iniziò a trattare Irma con maggior riguardo e attenzione. Forse, ad essere sinceri, avvertiva una forma di timore sottile nei suoi confronti. Dopo l’evento del crollo del tetto e di una parte del muro portante della scuola, tendeva a non perdere più la pazienza con lei. Quando capiva che la sua mente si perdeva, vagando nel vuoto, sempre con estrema pazienza, cercava di ricondurre la bambina nella realtà, vedendo di spiegare nuovamente quello che lei non aveva compreso. Irma, in questo modo, iniziò ad acquisire maggior sicurezza, tanto da divenire col tempo un' alunna fra le più brave della classe, eccetto che nel far di conto. I maggiori risultati li ottenne nel campo della scrittura, del disegno e nel canto. Quest’ultima capacità espressiva, cercò di studiarla e approfondirla, tanto da farne un mestiere, che a lei permise di conservare un equilibrio psico-fisico, conquistato attraverso grandi difficoltà.
Fin da piccolissima Irma si osservava nello specchio della camera da letto dei genitori, istigata con tutta probabilità dai tanti complimenti dei passanti, e in particolare la segnò, una coppia di villeggianti che, un pomeriggio d'estate, avevano esaltato quelle fattezze veramente insolite: - Luigi, guarda che occhi meravigliosi ha questa bambina!.. e che nasino! E' certamente molto magra, vestita e pettinata malissimo!… (sussurrava al marito)… poveretta! - Ecco ti do un bon-bon alla cioccolata!.. Irma lo prendeva e lo masticava sbriciolandolo fino all’ultimo, lentamente, quando era in loro presenza, ma poi, quando si allontanavano dal suo campo visivo, ingorda, riempiva la sua bocca con tutte le caramelle, per meglio assaporarle, impiastricciandosi le labbra e il viso, felice, gongolante. Poi di solito, vagava ancora sola per le strade del quartiere, per ore, con gli occhi sbarrati e le acconciature eccentriche, per non passare inosservata mai. Infatti bei vestiti e belle scarpe la sua famiglia non poteva di certo permettersele, con la speranza che qualche villeggiante la notasse, elogiandola e regalandole qualche chicca colorata.
Altro motivo di grande disappunto per la madre, si riconduceva nel fatto che Irma non dava veramente ascolto mai, e solo un pazzo avrebbe potuto fidarsi di lei. Si aveva infatti l’impressione, che avesse la capacità di estraniarsi in un mondo parallelo, lontano e per certi versi inaccessibile. Per andare per esempio a comprare il pane, Anna, quando gli altri figli non erano presenti e non rispondevano all’appello, era costretta , anche se con molta apprensione e a malincuore, ad interpellarla. Irma, dal canto suo, annuiva col capo, guardandola dritta negli occhi, dando l’impressione di avere compreso veramente tutto. Quindi, uscendo di casa, sembrava determinata, decisa, sicura di sè.. Ma poi le cose “ad essere sinceri “non andavano mai a buon fine. Non si sa, se per caso o volutamente, si ritrovava per esempio, in in piccolo vialetto di una zona malfamata della periferia, con i tetti bassi e i muri di mattone crudo, al numero 27 di via dè Marchi. Irma cercava fra il balcone di legno, forgiato alla spagnola, di intravedere Odelia la nana, che, oramai anziana, osservava dal balcone la vita. Irma si appoggiava solitamente al muro, cantando con una vocina infantile, ma intonatissima, “..se potessi avere -mille lire al mese- senza esagerare sarei certa di trovare- tutta la felicità”.. o altre filastrocche imparate a scuola. Cantava finchè la nana non si affacciava dal balcone, e lanciava un pugno di caramelline di zucchero, piccolissime, avvolte con carta dai colori differenti.
Irma, quando la pioggia di chicche cadeva dall'alto, come una scimmietta, veloce le rac- cattava, poi scappava via quasi volando. Continuava il suo bighellonare per strada, perdendo solitamente i soldi, fermandosi ad osservare una vetrina di giocatoli, una gatta con i micini appena nati, oppure un merlo con l’ala spezzata, eccetera, eccetera, . Povera Irma, le buone intenzioni c’erano realmente, nell’eseguire correttamente i suoi compiti. Uscita dall ’abitazione ripeteva fino all’inverosimile - ”..devo comprare un chilo di pane dalla signora Pompa, non devo perdere i soldi, e devo rientrare subito a casa!..”. Lo ripeteva e lo ripeteva a mò di cantilena, fino a stordirsi, ma, nonostante gli sforzi immani di concentrazione, le parole pian piano iniziavano a perdere il loro significato originale, e comunque alla fine, sempre si ritrovava a vagare nel vuoto, rientrando tardi, quando la sera scendeva, avvolgendo nelle tenebre la città.
Cosa mai potesse succedesse nella sua testolina non è dato saperlo. A casa, la madre l’accoglieva ovviamente con gelida freddezza, con lo sguardo aspro e severo la folgorava. Le mollava due schiaffi, le tirava i capelli gridando:..brutta screanzata!..Anche stavolta non hai fatto quello che ti ho chiesto!.. Chiedimi almeno perdono! Ma Irma la guardava di sbieco, con aria di sfida, penetrandola con gli occhi stretti rispondeva: NON TE LO CHIEDER0’ MAI!.. Gli scontri erano quotidiani, e si presentavano con una dose eccessiva di violenza, che lei mal tollerava. Per questo motivo, Irma, cercava di stare poco in casa, diciamo il minimo indispensabile. Comunque fosse, in casa Vernice non era permesso rientrare a casa dopo le ore 17 d’inverno, e dopo le ore 19 d’estate, e l’ora del desinare, ”inequivocabilmente” doveva essere rispettata. Anna, se non vedeva tutti i figli all’ora del pranzo e della cena, veniva colta da un attacco di ira misto a panico. Perchè le regole è necessario imparare a rispettarle “diceva”. Il suo terrore predominante però, era che i figli non mangiassero a sufficienza. Infatti a casa il cibo scarseggiava sempre, ma a dire il vero, loro pareva non se ne accorgessero più di tanto . Erano infatti tutti inappetenti e anemici, e questo era fonte di grande preoccupazione, al limite dell’ossessione, per Anna, che comunque in cucina faceva del suo meglio, con quel poco di cui disponeva. Era solita cucinare per le feste i ranocchi con la mentuccia selvatica. Era un’operazione che scandiva il ritmo di un rito. I preparativi si susseguivano dalla mattina, frenetici, sia nella pulizia della cucina, che dei ranocchi, i quali venivano puntualmente catturati nello stagno, adiacente alla casa, dal figlio Raoul (il figlio minore) che aveva anche il compito di raccogliere la menta selvatica dal giardino, ormai incolto. Raoul, con indulenza e malsana pigrizia eseguiva ubbidiente l’ordine imposto. Poi, come per miracolo, la cucina si impregnava di odori e sapori meravigliosi, nei quali Anna si immergeva come per incanto, rientrando in quel clima familiare che le era appartenuto, e che ormai era solamente un lontano ricordo. Seguendo una benevola magia riapparivano i muri perfettamente imbiancati, le sale da pranzo arredate con cura meticolosa, i tendaggi dai disegni floreali discreti, nonché l’elegante e raffinata argenteria. Riusciva persino ad intravedere le cameriere, che correvano col grembiulino bianco dai bordi arricciati, da una stanza all'altra. Commisto all’aroma del soffritto, si mescolava il profumo quasi pungente proveniente dall’esterno, del gelsomino e del roseto di rose nere, rarissime, delle quali il padre di Anna era un estimatore, e che curava personalmente, non devolvendo l’operazione alla servitù. Il sogno ad occhi aperti, che aveva dei tratti quasi reali, terminava esattamente con l’affievolirsi degli aromi prodotti in cucina, e Anna ripiombava pesante, nello squallore e nei problemi del quotidiano. Ai bambini le ranocchie con la mentuccia non piacevano, e fingevano solo di mangiarle. Infatti appena Anna si distraeva, venivano generosamente distribuite a Batuminì e Geronimo, rispettivamente il gatto e il cane di casa. Anna in genere non si accorgeva, o forse faceva solo finta di non vedere. Un giorno, però, sorprese Irma che le buttava nel water. Anna pianse per svariate ore di seguito, rinchiusa nella sua camera da letto. Irma ne fu così scossa, che tormentata dal rimorso, finì col mangiarle veramente, anche se con grande disappunto.
C'era stato un tempo però, se pur ormai remoto, in cui Anna Palhò aveva brillato più del sole. Era cresciuta in una famiglia ricca e in vista, e fino ai 15 anni di età, con i suoi fratelli, era stata una bambina spensierata e felice, anche se un pò rancorosa. Il rancore lo esprimeva con i fratelli e i genitori, attraverso una chiusura pressochè totale, caratterizzata da mutismi e insofferenza. Mentre gli altri bambini dimenticavano subito l'accaduto, lei tirava il broncio per le lunghe. Ma poi, dato che in fondo era d' animo buono, il rancore lo teneva da parte, assopito. Ma era sempre pronta a farlo riaffiorare. Era vissuta con la sua famiglia in una grande casa luminosa, profumata di gelsomini e roseti. Le domestiche avevano un gran da fare tutto il giorno a tenerla in ordine, anche perchè il padre di Anna, in particolare nei fine settimana, era solito organizzare delle feste, allegre e frizzanti, partecipate dalla borghesia locale. Anna e i suoi fratelli, sopratutto in quelle occasioni, venivano vestiti con cura e attenzione particolare. Ogni ospite regalava loro dei giochi straordinari. Alcuni non si potevano certo trovare nei negozi. Provenivano dalla Francia, dall'America e altri perfino dalla Cina. L'agiatezza della famiglia Palhò, sembrava provenisse sia dai latifondi, che da un'azienda che produceva pezzi di ricambio per motori. Attività che Gilberto Palhò seguiva personalmente, e che lui stesso, in tanti anni di attività, aveva reso fiorente. A dire il vero però, aleggiavano pareri contrastanti su tali ricchezze. Alcune voci maligne, asserivano infatti che Gilberto le avesse fatte fruttare, speculando su operazioni non troppo chiare, sia bancarie che azionarie. Sembrava anche che si dedicasse, o si fosse dedicato, con grande maestria, all' usura. Lavoro questo di alta nobiltà, facendosi aiutare da personaggi poco raccomandabili, tanto chiaccherati in città, sia politici di spicco, sia uomini di bassa manovalanza. Sembra si fosse reso responsabile dell' annientamento di persone perbene, ma in grave difficoltà economica, riducendole a condizione di larve umane, spingendone alcune, fino al suicidio. Ma in casa, il signor Palhò, si comportava come un padre perfetto, affettuoso, e un marito attento e ricco di premure. Sempre pronto ad accondiscendere ai desideri dell'amata moglie e dei suoi pargoli . Questo dualismo dell'animo di Gilberto non emerse mai in ambito famigliare. A dire il vero, però, la moglie Antea, essendo dotata di particolari perspicacia e intelligenza, in certi momenti aveva osservato nei suoi occhi uno scintillio sinistro che la raggelava. Ma dato che non osservava di fatto alcun comportamento controverso, tale da indurla nel dubbio, la sensazione sgradevole si affievoliva, anche se non spariva mai del tutto, si assopiva piuttosto, ma non l'abbandonò mai per tutto il tempo che stettero insieme.
Vorrei saperne di più. Hai già pubblicato qualcosa? dove posso trovare altre informazioni?
RispondiEliminagradita risposta della scrittrice
Patrizia Moro
Cara Adriana,il tuo romanzo è bellissimo
RispondiEliminaRosanna Ursich
brava! scorre bene e la lettura appassiona. Chiara
RispondiEliminaComplimenti. E' una fiaba con con una singolare e significativa allegoria. E' piacevole a leggerti. Un saluto Giulio Giliberti da Napoli
RispondiEliminaMolto bello, mi piace lo stile e spero verrai pubblicata a breve per continuare la lettura! Complimenti!
RispondiEliminaRosella
Molto bello, mi piace lo stile e spero verrai pubblicata a breve per continuare la lettura! Complimenti!
RispondiEliminaRosella
Molto bello, mi piace lo stile e spero verrai pubblicata a breve per continuare la lettura! Complimenti!
RispondiEliminaRosella
Molto bello!!! Scorrevole, avvincente, cattura l`attenzione, mi ricorda il «realismo magico» di saghe familiari che ti prendono per la loro fantasia e ricchezza di particolari! Silvia
RispondiEliminaLa scrittura è di buona qualità, mentre il ritmo è un po' lento. Una cadenza più sostenuta potrebbe sorreggere meglio la lettura. Alcune sbavature di ortografia e di punteggiatura da limare.
RispondiEliminaL'ho riletto ed è veramente stupendo. Attendo che lo finisca per gustarmi la lettura . Mi hai detto ieri, durante la visita, che da 800 pagine è diventato di 600. Non so cos'hai tagliato, ma mi piacete non ha dialoghi, solo lettura. Lasci immaginare al lettore cos' avrebbe detto in quel frangente. Adriana, finiscilo ti prego
RispondiEliminaSono Gessica a proposito
EliminaCiao Adriana,
RispondiEliminaSei tu vero?
Il Romanzo che mi dicevi è questo?
Grazie ciao